Sigmatismo interdentale: conosciamolo insieme!

Per sigmatismo interdentale si intende un difetto di pronuncia (dislalia) per cui la lingua, nell’articolazione del fonema /s/, si interpone tra le arcate dentarie le quali vengono mantenute lievemente scostate. Durante la realizzazione del suono, dunque, si verifica un’interferenza da parte dell’organo linguale.

Questo difetto di pronuncia (dislalia) è quasi sempre associato ad abitudini viziate, che inducono la lingua a sporgere verso l’esterno. Quando parliamo di abitudini viziate intendiamo: suzione del ciuccio, utilizzo del biberon, suzione del dito o delle guance e onicofagia. Queste abitudini, in generale, sollecitano la lingua a mantenersi tra le arcate dentarie nella posizione tipica del bambino che ancora non ha i denti, mentre succhia il latte. Se, quindi, queste abitudini viziate si perpetuano nel tempo, la lingua potrebbe mantenere tale postura errata anche dopo l’abbandono del biberon o del ciuccio.

Anche la respirazione orale può creare un terreno di attecchimento facile per il sigmatismo interdentale. Lo stare a bocca aperta, infatti, sollecita la lingua ad avanzare tra gli incisivi.

Quando l’interposizione della lingua tra i denti è presente ancora dopo i 7-8 anni, è possibile che il bambino presenti anche una deglutizione ancora di tipo infantile, cioè il pattern deglutitorio non si è sviluppato in adulto ma è rimasto in un assetto infantile.

Il sigmatismo interdentale viene valutato e preso in carico dal logopedista il quale adotta un insieme di tecniche per far sì che la lingua resti in una postura corretta durante l’articolazione. Il logopedista, inoltre, interviene anche nei casi di presenza di abitudini viziate e/o di deglutizione deviata (o infantile): in questo caso si porteranno avanti due lavori in parallelo ossia quello della correzione del difetto di pronuncia e quello della correzione del pattern deglutitorio.

 

Dott.ssa Logopedista

Chiara Campana

La disfagia: conoscerla e intercettarla.

Molto frequentemente, quando ci rechiamo dal medico, ci vengono consegnati referti o parliamo con gli operatori sanitari facciamo fatica a capire bene il significato dei termini che ci vengono riferiti o che vengono scritti. Una parola attualmente molto in uso ma ancora poco conosciuta è, appunto, “disfagia”. Questo termine viene spesso utilizzato da medici otorini, foniatri, fisiatri e neurologi o da operatori sanitari come logopedisti, fisioterapisti e infermieri.

Prima di dare una definizione di tale concetto, bisogna effettuare un piccolo riferimento ad un altro termine che è “deglutizione”. La deglutizione è stata definita da Oskar Schindler come “l’abilità di convogliare sostanze solide, liquide, gassose o miste dall’esterno allo stomaco. Le sostanze possono sia fisiologicamente che patologicamente avere direzione dall’esterno allo stomaco o dallo stomaco verso l’esterno con percorsi parziali o completi o arrestarsi in determinati punti del transito”.  La deglutizione comprende una fase orale volontaria, quindi sotto il controllo della nostra coscienza e due fasi riflesse, non dipendenti dalla nostra volonatà, che sono la fase faringea ed esofagea. Attraverso l’atto deglutitorio e le sue fasi, quindi, noi riusciamo a bere, a mangiare, ad assumere farmaci e, ovviamente, a deglutire la saliva.

La disfagia, invece, viene definita come una “difficoltà nella deglutizione”. Ma come si manifesta? Come una incapacità nel preparare il bolo alimentare e/o a farlo procedere in sicurezza dalla bocca allo stomaco. Di conseguenza, quando siamo di fronte ad un quadro di disfagia, sussiste una difficoltà o un’impossibilità ad attuare una alimentazione orale autonoma e sicura.
La disfagia è presente nel 20% della popolazione dopo i 50 anni (in questo caso si parla di presbifagia), nel 50-90% dei pazienti con morbo di Parkinsn e chiaramente aumenta nelle persone con patologie neurologiche o che hanno subito interventi nel distretto testa-collo.

Va sottolienato che la disfagia non è una malattia ma è sempre un sintomo di una patologia presente! Cosa significa? Per spiegare meglio facciamo un esempio. Se una persona ha subito un intervento alla bocca, quasi sicuramente avrà una difficoltà a livello deglutitorio e quindi presenterà disfagia. Se un paziente ha il morbo di Parkinson ed ha disfagia significa che è il Parkinson ad aver causato la difficoltà di deglutizione, poichè, appunto, la disfagia non è mai da considerarsi come una patologia ma è la conseguenza di una malattia già presente o che si sta manifestando.

La disfagia, inoltre, se non identificata e trattata in modo adeguato da un insieme di figure professionali, può portare a delle conseguenze anche molto gravi quali:

  • malnutrizione,
  • disidratazione,
  • insorgenza di polmonite ab ingestis (patologia molto grave a livello polmonare che si instaura quando cibi e liquidi non seguono la giusta via fino allo stomaco ma arrivano nei polmoni).

Tutto ciò, poi, porta ad una diminuzione della qualità della vita.

E’ fondamentale, quindi, che tutti sappiano che cos’è la disfagia, in modo tale da conoscerla e poterla intercettare perchè si tratta, molto frequentemente, di un sintomo trattabile con un intervento logopedico mirato e personalizzato.

Logopedia,prematurità e allattamento

Da qualche anno è nata una nuova branca della logopedia che si occupa della fascia d’età neonatale e che prende in carico tutte quelle problematiche correlate alla suzione e all’alimentazione per bocca in neonati prematuri o con patologie di diverso genere.

La nascita si definisce prematura o pretermine qualora avvenga prima delle 37 settimane di età gestazionale. Si tratta, attualmente, di un evento relativamente frequente pari al 6,9%, come viene definito nel Manifesto dei diritti del Bambino Nato Prematuro. Il nato prima del termine non sempre possiede i requisiti per una corretta e sicura alimentazione per bocca, per questo motivo, di solito, prima delle 32 settimane di età gestazionale, il neonato viene nutrito con l’uso del sondino naso-gastrico (strumento che dal naso passa direttamente allo stomaco per via interna e che permette di far fluire, senza il transito dalla bocca, liquidi nutritivi e farmaci). Gradualmente, il neonato svilupperà tutte le competenze necessarie per alimentarsi da solo (suzione-deglutizione-respirazione) e così, piano piano, si assisterà all’introduzione del seno materno.

Si tenga in considerazione che l’allattamento è da sempre una pratica fondamentale, incoraggiata da tutti i medici e da tutte le associazioni specifiche. Nella Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF svoltasi a Ginevra, nell’anno 1989, dal  titolo “L’allattamento al seno: protezione, incoraggiamento e sostegno. L’importanza del ruolo dei servizi per la maternità” si definisce l’allattamento al seno come il miglior metodo alimentare per garantire una sana crescita e un sano sviluppo dei neonati. Questo fenomeno esercita un’influenza biologica ed emotiva unica sulla salute sia delle madri che dei bambini.

Nel corso degli anni, si sono definiti numerosi vantaggi che questa pratica porta con sè, non solo per il bambino ma anche per la mamma. Alcuni benefici per il neoanto sono: favorire lo sviluppo fisiologico della bocca e ridurre il rischio di infezioni respiratorie, urinarie, diarrea ed otiti. Alcuni benefici per la mamma sono: aiutare a perdere peso accumulato durante la gravidanza, ridurre il rischio di anemia e ridurre il rischio di alcune forme tumorali del seno, dell’endometrio e dell’ovaio (Ministero della Salute, “Allattare al seno-un investimento per la vita”, 2016).

Proprio per l’importanza che ha l’allattamento si cerca, quando possibile, di intervenire, con delle manovre logopediche assolutamente non invasive, in modo da accelerare il passaggio da nutrizione artificiale con il sondino naso-gastrico a nutrizione naturale, con l’uso del seno materno. Esistono, ad oggi, diversi studi che affermano l’importanza e l’efficacia di queste manovre che vengono definite “Stimolazioni orali” proprio perchè si vanno ad effettuare delle stimolazioni dolci e graduali a livello della bocca del bambino, sia internamente che esternamente. Queste stimolazioni, per altro, essendo molto semplici perchè realizzate con il solo tocco del dito mignolo, possono anche essere insegnate alla mamma, sotto supervisione del logopedista, così che possano essere fatte in maniera continuata durante le giornate.